Egon Schiele – “Donna seduta con ginocchio sollevato”

“Pensieri sparsi per il giorno di San Valentino 2004. Oggi è una festa inventata dai fabbricanti di cartoline di auguri per fare sentire di merda le persone”, è questo l’incipit nudo e crudo del film Eternal Sunshine of the Spotless Mind, titolo tributo al poeta inglese A. Pope (datoci per buono come “Se Mi Lasci Ti Cancello”, in Italia). Questa pellicola, una tra le mie preferite, con un Jim Carrey serio, alla The Thruman Show, e una Kate Winslet sapientemente drammatica, lontana dall’esordio sul Titanic, non può che essere l’introduzione più azzeccata del nostro argomento: un amore violento e deleterio, terribilmente giusto, tra un lui nebuloso e una lei sgargiante.

Partiamo da lui. Lui è Egon Leon Adolf Schiele (Tulln, 1890 – Vienna, 1918). Pittore espressionista, poco incline a non marinare la scuola d’arte, imparò quasi tutto ciò che poteva imparare da G. Klimt, il prezioso, e da V. Gogh, il tormentato. Fondò il movimento secessionista austriaco assieme al collega O. Kokoshka e sosteneva che l’arte non può essere moderna, in quanto rappresenta l’eternità. Nacque in una stazione ferroviaria, fu un talento precoce e morì a soli 28 anni per aver contratto il virus della febbre spagnola: spero che questo vi basti per inquadrarlo in un tipico ritratto di bello e maledetto alla pari di James Dean.

Lei fu battezzata Valerie Neuzil, ma Wally era molto più informale. E’ il 1911 ed Egon si trova a Vienna con il suo amico Gustav (Klimt, ndr) che gli presenta questa giovane donna (la quale era stata sua amante) dalla chioma rossa e gli occhi verdi. Il fine di Gustav era quello di referenziare una modella al suo collega momentaneamente a corto di idee, ma qualcosa va storta perché Wally diventò addirittura la musa di Egon, l’amore pazzo. Lei, non ancora maggiorenne, e lui stettero insieme per cinque tumultuosi anni.

Poco tempo dopo essersi conosciuti, decisero di scappare da Vienna per nascondersi nella bucolica vita della campagna boema, anche se il pregiudizio della gente, che li vedeva  come un’empia coppia di sbalestrati non congiunti nel sacro vincolo del matrimonio, li accompagnava sempre dovunque. Tant’è che nel 1912, Egon fu incarcerato con l’accusa di aver sedotto una minorenne. In tribunale, però, i giudici lo scagionarono e lo sanzionarono soltanto per aver esposto in pubblico opere di carattere pornografico. Uscito dal carcere, corse di nuovo nelle braccia della sua Wally anche se lei (che, ovviamente, per fare quella vita, non era uno stinco di santo) non l’aveva aspettato come una moderna Penelope. E vissero tutti felici e contenti? No, affatto. Nel 1915, quasi anche senza avvisarla, Egon lascia Wally per sposare Edith, una borghese che l’avrebbe aiutato economicamente. Il pittore egocentrico supplica Wally di rimanere la sua amante, ma lei rifiuta e gli dà il ben servito. Valerie Neuzil sarà per sempre l’unico grande amore di Egon Schiele, ma lei non ci stava ad essere seconda a nessuna.

Sitzende frau mit hochgezogenem knie - 1917 - carboncino, guazzo, gesso - Galleria nazionale (Praga)

Ci sono delle controversie su chi possa essere la donna rappresentata in questo quadro, ma, secondo me, questa non può altro che essere Wally, la rossa dagli occhi felini, dipinta da Egon quando era già sposato da due anni.

Siamo davanti a un tipico stile Schiele. Il tratto nitido e secco, la distorsione figurativa, il colore allucinato e la linea incisivamente tagliente: l’artista è una persona che non ha mai ripensamenti, agisce d’impulso, egocentrico nel suo malessere, ferisce e si ferisce, quasi provando piacere nel suo malato modo d’amare.

La donna rappresentata è seminuda, contorta e monca. Questo sottolinea il rapporto complicato che   l’artista ha con il sesso femminile: suo padre era morto di sifilide, mentre la mamma, non accettando la sua professione poco retribuita, lo cacciò di casa. Quindi, il sesso diventa un’ossessione, una tensione emotiva contro l’inquietudine della solitudine. Per questo, il dipinto manca chiaramente d’armonia, si basa sulle forme contorte degli arti, sulle pose scomode, perché si tende sempre a riempire freneticamente il vuoto, come fanno i bambini quando hanno paura del buio. Questi nudi scabri, aciutti, ruvidi sono speculari all’amore tra Wally ed Egon: urlato nel silenzio, un usarsi e disfarsi per non rimanere soli. Un non fingersi superuomini, ma palesarsi come corrotti esseri mortali, amanti disperati.

La simbologia dell’erotismo intenso che dipinge Schiele ha il suo climax nello sguardo pensieroso della sua musa, adolescenziale ma non pudico, drogato di giovinezza e inaccessibile. Wally è la declinazione del verbo amare e la chiara prova che l’amore non è altro che la più dolce e assuefacente forma di violenza. Schiele la dipinge sanguigna, altera, sicura, provocante e terribile. Che altro voleva Wally da lui, a parte sapere che ce l’aveva in pugno?

Infondo, cosa ci si poteva aspettare da un artista che nasceva già con i geni impegnati a plasmarlo nel disagio della sua introspezione psicologica? Lui si sente solo, incopreso. Lui si serve di lei, chiaramente, ma solo perché non è capace di amare in altro modo eccetto che come nei suoi dipinti, abbracci erotici di sesso senza gioia. “E’ l’amore che ci uccide, non la droga”: dicevano così anche Sid Vicious e la sua Nancy, una coppia che assomiglia molto alla nostra.

I dipinti di Schiele non sono tristi, anzi. Ci ricordano il senso della vita che scorre inesorabilmente. Contro la falsità borghese, che l’ha sempre esiliato, lui usa l’erotismo, senza aggiungere altre parole vuote. Wally è il suo manifesto e il suo dito medio al Mondo che lo rigetta perchè lui ha già capito tutto. Ha capito che, tanto, si deve morire lo stesso, allora è meglio farsi uccidere da questa belva indomabile che gli agita il cuore e, anche se è solo per un attimo, lo distoglie dall’essere mestamente sè stesso. Non serve pregare se si ha accanto Wally. E questo, la borghesia che si stava preparando ad entrare in guerra, mica lo sapeva!

Com’è felice il destino/ dell’inconsapevole vestale!/ dimenticata del Mondo, dal Mondo/dimenticata. Infinita letizia della mente candida! “Eloisa to Abelard” A. Pope.

Ma gli volete così male all’Amore da starvene lì in panciolle ad ingozzarvi di cioccolatini?

CLASSIC ON AIR: Sergio Cammariere “Tutto quello che un uomo”

Mi rifiuto.
Mi rifiuto di credere che senza te non posso stare.
E' come stare in apnea, ma ce la posso fare.
Posso vivere anche senza respirare.
Non è vero che se senza di te io non vivo.
Tu non sei più l'orizzonte costante della mia realtà.
Mi rifiuto di credere che sei tutto quello che un uomo sognare potrà.
Mi rifiuto di sentirmi solo.
Mi rifiuto.

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Cattivo

E’ un po’ di tempo che mi domando cosa possa spingere un individuo ad essere crudele o cattivo. Mi sono reso conto che spesso si confonde la cattiveria con l’egoismo, con l’arroganza, con l’avidità o con la semplice prevaricazione.

Invece “la cattiveria nasce da sentimenti negativi come la solitudine, la tristezza e la rabbia. Viene da un vuoto dentro di te che sembra scavato con il coltello, un vuoto in cui rimani abbandonato quando qualcosa di molto importante ti viene strappato via“. (Ryū Murakami).

Vorremmo essere giudicati per le nostre buone intenzioni invece gli altri ci etichettano quasi sempre solo per le azioni che compiamo.  E’ strano sentirsi come mi sento oggi. Mi viene quasi voglia di smettere di fingere di fare quello che mi va di fare.

Gli Acrobati di Pablo Picasso

“I chiodi scaccia chiodi non sono mai una buona idea”. Scorrendo tra i vari momenti filosofici su Facebook, mi sono imbattuta su questo. Mi è venuto da ridere: ho sempre sostenuto il contrario, io. Diciamocela tutta, giusti o sbagliati, sono decisamente terapeutici. Servono per fare spazio nella mente. Servono, appunto. Sono egoistici modi per tentare di sopravvivere, un Moment del day after. Un “Ce la posso fare, vedete?”, mentre, sotto il cuscino, troneggia ancora la confezione maxi di Kleenex.

L’amore è tossico: Zirconet l’ha sbandierato più volte su questo blog. Ed è per questo che cerchiamo di soppiantare chi non abbiamo più con qualcun’altro a caso, perché ne dipendiamo. Picasso, del resto, ci può fare da maestro in questo. No, non ebbe molte donne perché era uno stronzo o, almeno, non solo per questo marginale motivo. Amava alla maniera degli artisti, malatamente. Amava in verticale e non in orizzontale e, per questo, ebbe una vita sentimentale caotica, ma mai vuota.

Pablo Picasso  (Màlaga, 1881 – Mougins, 1973) era un tipo storto, lo dicono anche le persone che l’hanno potuto conoscere di persona (come lo pseudocantante Miguel Bosé). Il bambino prodigio dal nome chilometrico (Pablo Diego José Francisco De Paula Juan Nepomulceno Marìa De Los Remedios Cipriano De La Santisima Trinidad), o dai genitori molto simpatici, che sarebbe diventato semplicemente Picasso, l’artista di fama mondiale, aveva origini liguri e, questo, in parte, potrebbe spiegare la causa della sua più grande fobia, quella di diventare povero, lo stesso motivo che lo spingerà a non divorziare mai legalmente da Olga Kokhlova. Strano, perché lui senza quattrini non ci sarebbe mai stato, grazie alla sua partenza in salita dovuta alla posizione sociale della sua famiglia che faceva parte della media borghesia. Nonostante questo, però, Picasso si allontanò ben presto dalla sua famiglia d’origine (aveva un rapporto conflittuale con il padre che lo voleva adulto già da bambino) e, quasi sempre, anche dai nidi che avrebbe costruito. La famiglia per lui, infatti, era un concetto troppo assoluto per potere essere davvero sperimentato.

Ma, ritorniamo alla sua vita sentimentale. Picasso amava Continua a leggere

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