Le solite vittime della guerra giusta

Non è passato che un secolo dalla fine della Prima Guerra Mondiale (1914-1918). Qualche celebrazione, ma niente che abbia seriamente scalfito il muro di gomma d’indifferenza delle coscienze, oggi come non mai concentrate solo sul presente. Eppure la Storia avrebbe tra i suoi compiti proprio quello di serbare memoria non solo dei successi e dei traguardi raggiunti, ma soprattutto degli errori compiuti nel passato.

La Storia è quindi principale nemica del Sistema che la combatte con l’arma più efficiente a sua disposizione: l’oblio. Così anche se le piazze rimangono infarcite di statue commemorative e magari una volta l’anno si coglie l’occasione di una vacanza, l’inevitabile sottilmente si compie. L’oblio ha infine la meglio sfruttando l’umana propensione della mente a lenire le ferite cercando di dimenticare i mali passati pure al prezzo di restare all’oscuro di ciò di cui si stati vittima.

Eppure la Storia (la storiografia nel senso più alto del termine) rimane sempre a disposizione degli uomini di buona volontà che aspirano ad emanciparsi dalla schiavitù dell’ignoranza. E’ sufficiente sfogliare una delle sue tante pagine per scorgere attraverso la sapiente luce della conoscenza i meccanismi alla base del funzionamento di questo mondo.

E così la Prima Guerra Mondiale mostra il suo vero volto. Un immane e insensato massacro responsabilità di pochi cinici sulla pelle delle moltitudini. Non una guerra giusta, moralmente accettabile, ma uno strumento di chi ha il potere per legittimarsi e ottenere quel consenso di cui voracemente si alimenta.

Restando nel cortile del nostro paese, sfrondata la retorica dalla risorgimentale volontà di completare l’unità nazionale, dal patriottismo degli interventisti e dall’isolazionismo dei neutralisti, rimane il grosso macigno dell’ignoranza sui fatti dei milioni che realmente poi persero la vita al fronte.

E così ancora una volta la più importante lezione della Storia riguarda chi ha il potere di scatenare una guerra che quasi mai scende in trincea a versare il suo sangue che a morire ci manda proprio quella gente di cui millanta di perseguire gli interessi.

Chi è convinto che la Storia sia roba noiosa che poco o niente ha di che spartire con il presente e meno con il futuro, non ha capito un bel niente.

Se ad esempio si trova il coraggio di trasporre quanto sopra all’attualità dei giorni nostri, si è magari in grado di scoprire qualche altarino. Oggi la guerra dove si spara e si sganciano bombe la si fa nel terzo mondo dove la gente è più avvezza a questo modo di fare che quando qualche anno fa ha provato a lambirci più da vicino non ci abbiamo per niente fatto una bella figura. Qui noi la guerra, che rimane sempre una questione di vile denaro, la si combatte senza esercito che impieghiamo solo nelle cosiddette missioni di pace. Da noi la guerra è commerciale e se magari sfiora la politica rimane sempre relegata a questione di interessi economici.

E mentre una delle idee più nobili scaturite dalle rovine della Seconda Guerra Mondiale è fatalmente in crisi, lontana dalle origini e dai condivisibili ideali, impastoiata negli aspetti legati alla finanza, la nostra guerra è contro i burocrati dell’Unione Europea. Chi ci comanda ci infarcisce le orecchie con la retorica del sovranismo e del populismo (unità nazionale? patriottismo?) e ci vorrebbe sul fronte a combattere la guerra per tutelare i nostri interessi (?). E se sfortuna vorrà che si compirà un massacro, quelli che ci rimetteranno non saranno chi sta sopra, ma (in questo caso) i soldi della povera gente.

E questa quindi una nuova guerra giusta?

La Storia potrebbe rispondere di no, ma sembra che nessuna abbia bisogno dei suoi consigli. Il passato si vorrebbe fosse come quell’acqua che non passa mai due volte sotto lo stesso ponte. Ma per fortuna c’è chi non ne è per niente convinto e tra le coltri della nebbia dell’ignoranza riesce ad intravvedere il vero nemico ovvero quel Sistema che ha interesse solo a tutelare se stesso.

Il natale di 100 anni fa fu un vero miracolo

irvine

A Natale può accadere di tutto (continua a dirlo anche la pubblicità che …a Natale puoi… anche evitare di abbuffarti di pandoro e/o panettone), ma giusto cento anni fa, durante il primo anno della Prima Guerra Mondiale nel dicembre del 1914 è avvenuto un vero e proprio miracolo: una tregua tra soldati inglesi e tedeschi iniziata con un canto di Natale.

Il caporale Leon Harris del 13esimo battaglione del London Regiment in una lettera scritta ai genitori che stavano a Exeter (riprodotta sul sito www.christmastruce.co.uk interamente dedicato a quanto successe cento anni fa): «È stato il Natale più meraviglioso che io abbia mai passato. Eravamo in trincea la vigilia di Natale e verso le otto e mezzo di sera il fuoco era quasi cessato. Poi i tedeschi hanno cominciato a urlarci gli auguri di Buon Natale e a mettere sui parapetti delle trincee un sacco di alberi di Natale con centinaia di candele. Alcuni dei nostri si sono incontrati con loro a metà strada e gli ufficiali hanno concordato una tregua fino alla mezzanotte di Natale. Invece poi la tregua è andata avanti fino alla mezzanotte del 26, siamo tutti usciti dai ricoveri, ci siamo incontrati con i tedeschi nella terra di nessuno e ci siamo scambiati souvenir, bottoni, tabacco e sigarette. Parecchi di loro parlavano inglese. Grandi falò sono rimasti accesi tutta la notte e abbiamo cantato le carole. È stato un momento meraviglioso e il tempo era splendido, sia la vigilia che il giorno di Natale, freddo e con le notti brillanti per la luna e le stelle».

Scene simili si verificarono anche tra tedeschi e francesi e tra tedeschi e belgi, pur se in misura molto minore: dopo cinque mesi di guerra sanguinosissima (era iniziata il primo agosto)con circa un milione di vittime, con molte zone del Belgio e della Francia orientale occupate e dopo i massacri di civili compiuti dai soldati tedeschi, i sentimenti di fraternità erano parecchio meno diffusi.

Un generale ne dà conferma, con una battuta piuttosto macabra, in una lettera indirizzata alla moglie: «Uno dei miei ha fumato un sigaro con il miglior cecchino dell’esercito tedesco, non più che diciottenne. Dicono che ha ucciso più uomini di tutti ma ora sappiamo da dove spara e spero di abbatterlo domani». Sì, la guerra sarebbe continuata.

 

L’attentato di Sarajevo un secolo dopo

attentato sarajevo

Un secolo esatto esatto: cento anni. Il 28 giugno 1914, giorno di San Vito e festa nazionale serba, a Sarajevo il nazionalista serbo Gavrilo Princip, assassinò con due colpi di pistola l’arciduca d’Austria Francesco Ferdinandod’Asburgo-Este e sua moglie Sofia scatenando una reazione a catena che costituì la scintilla da cui un mese dopo (il 28 luglio 1914) divampò la prima guerra mondiale che si concluderà l’11 novembre 1918.

Chiamata inizialmente dai contemporanei guerra europea, con il coinvolgimento successivo delle nazioni del Commonwealth e di altri paesi extraeuropei tra cui gli Stati Uniti d’America e l’Impero giapponese, prese il nome di “guerra mondiale” o anche Grande Guerra.   Inizialmente l’Italia dichiarò la propria neutralità al conflitto, ma un anno su pressione di gruppi interventisti, ruppe la Triplice Alleanza e il 24 maggio 1915 dichiarò guerra all’Austria-Ungheria.

La prima guerra mondiale è stato uno dei conflitti più sanguinosi dell’umanità: considerando tutte le nazioni del mondo, si stima che durante il conflitto persero la vita poco meno di 9.722.000 di soldati con oltre 21 milioni di feriti.

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