Le parole pronunciate ieri dal Presidente del Consiglio del governo italiano segna, laddove ce ne fosse ancora bisogno, il sigillo della fine della democrazia in Italia.
In totale disprezzo del cittadino e di quella volontà popolare che viene sovente cavalcata al limite del populismo proprio da chi oggi se ne fa beffe. Come oramai siamo abituati in barba a tutti e a tutto poiché il risultato del referendum sarebbe troppo condizionato dal disastro nucleare di Fukushima. Quello che colpisce è la sfacciataggine della dichiarazione a latere dell’incontro con il Presidente francese Sarkosy (dal quale acquisteremmo l’eventuali nuove centrali nuclearicon i contratti già firmati tra ENEL e EDF)…
Pronti a sborsare più di 300 milioni di euro per spostare i referendum a dopo le elezioni amministrative cercando di minarne il quorum, ci si avvale adesso dell’art. 39 della legge 352/1970 che prevede che “se prima della data dello svolgimento del referendum, la legge, o l’atto avente forza di legge, o le singole disposizioni di essi cui il referendum si riferisce, siano stati abrogati, l’Ufficio centrale per il referendum dichiara che le operazioni relative non hanno più corso“. E’ sufficiente una moratoria di un annetto o due per evitare che il popolo italiano decida di NON avvalersi di un’energia pericolosa come quella nucleare. Che il governo dovesse trovare una via d’uscita all’empasse in cui si era ritrovato all’indomani della tragedia della centrale giapponese di Fukushima, era risaputo. Ma che si trovasse un’escamotage per far saltare il referendum e rimandare di qualche tempo i l’inizio dei lavori e che lo si dichiarasse così apertamente è tutt’altro paio di maniche. I cittadini sarebbero troppo sconvolti emotivamente dai nefasti avvenimenti e quindi impreparati ad affrontare serenamente la questione. Quindi meglio rimandare tutto a quando le acque si saranno calmate.
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