Georgia O’Keefe – Grey Blue and Black Pink Circle

Non tanto tempo fa, in un’inaspettata disquisizione culturale, mi è stato detto che Georgia è un’artista di nicchia. L’abile retore con il quale stavo discorrendo mi giustificò la sua affermazione con la scusa (neanche tanto inventata) che noi Europei facciamo fatica ad accettare come artisti i colleghi d’Oltreoceano. Io, che non possiedo grandi doti dialettiche, ma che fatico a starmene zitta, gli ho detto, senza mezzi termini, che secondo me non la conosceva soltanto perché la Georgia non è un Giorgio, perché, d’altronde, quest’artista è stata ospitata in mostra da ottobre a gennaio a Palazzo Cipolla grazie alla Fondazione Roma. Mi spiegherò meglio, molta gente fa meno fatica a ricordarsi la farfallina di Belen Rodriguez piuttosto che in che cosa sia laureata Rita Levi Montalcini o, artisticamente parlando, che Rosalba Carriera non ha niente da invidiare a Giambattista Tiepolo. Non aprirò parentesi, ma per questo mese di marzo voglio celebrare la donna che non ha bisogno di ometti oliati come se fossero polli pronti da infornare per sentirsi tale e stare bene con sé stessa. 

Georgia O’Keefe(Sun Prairie, 1887 – Santa Fé, 1986), la Signora degli Iris e delle Petunie: non èRitratto (foto di A. Steiglitz) difficile capire chi fosse dati i ritratti fotografici che le fece suo marito, il famoso fotografo Alfred Steiglitz. Magra, ossuta ma non malata, intrinsecamente sensuale, l’eccellenza dell’American beauty, della donna libera e fatale. Contrariamente a quanto si può leggere in giro per il web, non soffriva “di nervi”, piuttosto di emicrania cronica e, forse anche per questo, non aveva un carattere facile ( era nevrotica, inquieta, emotiva: un cavallo pazzo), tuttavia apprezzava le cose semplici e diceva che era l’interesse a muoverle la vita poiché la felicità era troppo effimera per esserlo. Per tutta la vita negò che l’influsso di suo marito fu basilare nel suo sviluppo artistico, sebbene, non solo si conobbero ad un vernissage, ma fu proprio lo Steiglitz ad inserirla nell’American Artists Society. Tra l’altro, dato che è noto che due artisti non possono condividere lo stesso tetto come due cuori e una capanna, fu proprio suo marito a fare in modo che la critica interpretasse la sua opera in una chiave direzionata solo verso all’esibizione sessuale (questo vendeva di più, anche a i tempi). In verità, lei voleva far passare solo un’arte fortemente espressiva che, con il suo potere, voleva anche, ma non solo, includere una sessualità pura.

1929 - 92x122 cm ca. - olio su tela - Museum of Art (Dallas)

Il volersi riallacciare all’arte giapponese e all’astrattismo spirituale di stampo kandiskijano non passa inosservato, sebbene l’OK’s Style lo reinterpreti. In una maniera del tutto femminile, viene unita la figurazione (è chiaramente intuibili che i soggetti sono dei fiori) all’astrazione (perché i fiori vengono trasfigurati e, così, diventano simboli di qualcosa di più grande). Ciò che rende possibile questo dualismo è il nuovo punto di vista: i fiori vengono rappresentati macroscopicamte, creando un’atmosfera surreale di panteismo intensificato.

Questa tela arriva al culmine Continua a leggere

Le Ninfee di Claude Monet

Pare che quest’anno la Primavera stia dando il meglio di sé, nel meglio e nel peggio. A noi la Primavera ci piace e vorremmo celebrarla ricordando un artista che di buon gusto e di Primavera ne capiva tanto.

Claude Monet (Parigi, 1840 – Giverny, 1926) é un cavaliere errante. Bohemien convinto per tutta la sua vita, quando la sua prima moglie, Camille, gli annunciò di essere incinta, lui corse ai ripari a casa di una sua vecchia zia e ritornò dalla sua famiglia poco dopo che il suo primogenito aveva compiuto due mesi. Qualche anno più tardi, a causa di ingenti problemi economici che lo portarono alla bancarotta, tentò il suicidio, ma, fortunatamente, il suo migliore amico e collega P. A. Renoir, con una casa appena fuori Parigi e nuove commissioni pittoriche, riuscì a convincerlo a tenersi in vita. Arrivò il 1870 e la Francia entrò in guerra contro la Prussia e Monet, per non arruolarsi, scappò in Inghilterra. Prima di tornare a casa dalla sua famiglia, però, vagheggiò per tutta l’Europa. In Olanda, in particolare, conobbe l’arte giapponese divenuta celebre grazie a K. Hokusai. Di quell’arte ancora così primitiva, indietro anni luce da quella europea, lo colpirono l’assenza di prospettiva, la colorazione a campiture (senza sfumature, come i più moderni manga giapponesi) e l’impiego di supporti pittorici alternativi (come il legno o la carta di riso). L’essenzialità di quest’arte che, sebbene non fosse barocca, era finemente raffinata, si avvicinava molto alla sua personale idea d’arte. Dopo aver terminato il suo grand tour europeo, ritornò all’ovile da moglie e figli e tutto sembrava aver ripreso la giusta piega. Tuttavia, le carte vennero rimesse in tavola quando, per motivi lavorativi, conobbe Alice Hoschedé, moglie di un ricco finanziatore d’arte. Ben presto Alice sostituì Camille, dapprima come musa e poi anche sotto le lenzuola. Addirittura, quando il marito mecenate perse tutti i suoi averi, Monet invitò Alice e prole annessa a trasferirsi a casa sua con sua moglie e i suoi figli, in un’epoca in cui il termine famiglia allargata non era ancora stato coniato. A suo modo, però, Monet non smise mai di amare sua moglie e, quando Camille, a soli 32 anni, morì di tubercolosi (altre biografie, invece, sostengono che sia morta a causa di un aborto spontaneo) la dipinse morente nel suo letto. Si ricorda che il privilegio di essere ritratti in punto di morte, fino ad allora, era stato riservato alla Maria Vergine. La morte di sua moglie e, poco tempo dopo, la morte dello stimatissimo collega E. Manet,  fecero cadere l’artista in un forte stato di depressione. Così, ancora una volta, l’amico Renoir, gli tese la mano e lo portò con lui in un viaggio che avrebbe toccato le principali tappe del bacino del Mediterraneo. Il sole, la mancanza di foschia e il mare blu colpirono positivamente l’artista che, una volta rimpatriato, sposa Alice e si rimise in carreggiata come uomo e, soprattutto, come pittore. Quasi alla fine della sua carriera, si trasferì a Giverny, nelle campagne dell’Alta Normandia, dove morirà a causa di un tumore ai polmoni. Al suo funerale una folla commossa ghermì la piccola chiesa di Giverny.
Claude Monet fu il primo artista a parlare di Impressionismo. Continua a leggere
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