Maledetta primavera, per fortuna al tempo di Monet c’erano ancora le mezze stagioni

Tipo quando ti svegli una mattina con gli occhi abbuffati conciati peggio di quando ti sei infilato a letto. Il naso che pizzica e sgocciola, la testa indolenzita, proprio il giorno in cui dovevi essere al cento per cento per via di quella riunione importante in ufficio.
Ma che diavolo è mai successo?

Ti sei coricato che era fine inverno che la mattina presto per strada c’era la nebbia e ti sei svegliato in piena primavera, pacchetto tutto compreso: sole sopra i venti gradi e nuvole di polline in omaggio. Se tua nonna continua a mormorare che non ci sono più le mezze stagioni non è per via che è rimbambita e ripete cose a caso, ma perché oramai è così e lo ha scritto pure sul suo account su twitter: – Ti giri un attimo, chiudi gli occhi e ti ritrovi in un’altra stagione – (1000 retweet e 1000 cuoricini).

Ovvio che il tuo corpo segua le vecchie leggi naturali in vigore dai tempi della nonna di tua nonna: non è che se di punto in bianco te ne vai in giro con la polo a mezze maniche, quando il giorno prima tremavi se non indossavi i guanti, ti puoi sentire bene. E’ arrivata la primavera insieme all’irritante malessere da cambio di stagione e alle insopportabili allergie.

Perché i prati raggrinziti della sera prima, si sono magicamente trasformati in un trionfo di fiorame che nemmeno nei giardini reali delle favole e ovviamente cresce di tutto, ma di più crescono le graminacee e tutte le altre erbacce infestanti a cui sei allergico.

Devi fartene una ragione e cantare anche tu come la Goggi: «Che fretta c’era… maledetta primavera!».

Ha ragione Loretta e pure tua nonna. Una volta era diverso. La sera dopo cena Continua a leggere

Friederick Carl Frieseke – “Reflections (Marcelle)”

Carissimi Cittadini Imperfetti, ho ufficialmente bisogno del vostro aiuto.

Vi è mai capitato che qualche bel ceffo vi dicesse che voi non foste all’altezza di una certa persona? Che, per quante doti seduttrici abbiate, quella persona rimarrà per sempre in un Mondo parallelo al vostro? Beh, non ci vuole un genio per capire che io sono un tappo, quindi tante grazie. E poi cosa significa che è di un altro pianeta? Non mi sarò mica invaghita di un alieno, io che sono alta meno di un metro e una banana!

Il problema è che il tempo incalza, come dicevano i miei amici Impressionisti di cui oggi scomoderò Frederick Carl Frieseke (Owosso, 1874 –  Mesnil-sur-Blangy, 1939) che visse per molti anni a Giverny, a nord est di Parigi, cittadina conosciuta per essere stata la casa di C. Monet, il papà dell’Impressionismo. Frieseke fa parte di quel periodo artistico chiamato Impressionismo Americano, che non si diversifica molto da quello europeo, l’arte dell’effimero, se non per la sua vividezza e il suo riallacciarsi molto con la cultura Jazz.

Reflections (Marcelle), olio su tela, 81x69cm, 1909 ca., Telfair Museum of Art- Savannah (Georgia)

Questo dipinto mi ha colpito molto per i suoi colori e per il segno vangoghiano. I colori, il mare della Costa Azzurra, sono i blu, i violetti, gli oro e gli arancioni della luce del sole in estate. Ed è questo che Frieseke vuole comunicare con i suoi colori intensi e le sue pennellate decise: la consapevolezza e l’intensità delle emozioni dell’estate, di un amore che divampa.

Ma ritorniamo al mio enorme cruccio. Continua a leggere

Le Ninfee di Claude Monet

Pare che quest’anno la Primavera stia dando il meglio di sé, nel meglio e nel peggio. A noi la Primavera ci piace e vorremmo celebrarla ricordando un artista che di buon gusto e di Primavera ne capiva tanto.

Claude Monet (Parigi, 1840 – Giverny, 1926) é un cavaliere errante. Bohemien convinto per tutta la sua vita, quando la sua prima moglie, Camille, gli annunciò di essere incinta, lui corse ai ripari a casa di una sua vecchia zia e ritornò dalla sua famiglia poco dopo che il suo primogenito aveva compiuto due mesi. Qualche anno più tardi, a causa di ingenti problemi economici che lo portarono alla bancarotta, tentò il suicidio, ma, fortunatamente, il suo migliore amico e collega P. A. Renoir, con una casa appena fuori Parigi e nuove commissioni pittoriche, riuscì a convincerlo a tenersi in vita. Arrivò il 1870 e la Francia entrò in guerra contro la Prussia e Monet, per non arruolarsi, scappò in Inghilterra. Prima di tornare a casa dalla sua famiglia, però, vagheggiò per tutta l’Europa. In Olanda, in particolare, conobbe l’arte giapponese divenuta celebre grazie a K. Hokusai. Di quell’arte ancora così primitiva, indietro anni luce da quella europea, lo colpirono l’assenza di prospettiva, la colorazione a campiture (senza sfumature, come i più moderni manga giapponesi) e l’impiego di supporti pittorici alternativi (come il legno o la carta di riso). L’essenzialità di quest’arte che, sebbene non fosse barocca, era finemente raffinata, si avvicinava molto alla sua personale idea d’arte. Dopo aver terminato il suo grand tour europeo, ritornò all’ovile da moglie e figli e tutto sembrava aver ripreso la giusta piega. Tuttavia, le carte vennero rimesse in tavola quando, per motivi lavorativi, conobbe Alice Hoschedé, moglie di un ricco finanziatore d’arte. Ben presto Alice sostituì Camille, dapprima come musa e poi anche sotto le lenzuola. Addirittura, quando il marito mecenate perse tutti i suoi averi, Monet invitò Alice e prole annessa a trasferirsi a casa sua con sua moglie e i suoi figli, in un’epoca in cui il termine famiglia allargata non era ancora stato coniato. A suo modo, però, Monet non smise mai di amare sua moglie e, quando Camille, a soli 32 anni, morì di tubercolosi (altre biografie, invece, sostengono che sia morta a causa di un aborto spontaneo) la dipinse morente nel suo letto. Si ricorda che il privilegio di essere ritratti in punto di morte, fino ad allora, era stato riservato alla Maria Vergine. La morte di sua moglie e, poco tempo dopo, la morte dello stimatissimo collega E. Manet,  fecero cadere l’artista in un forte stato di depressione. Così, ancora una volta, l’amico Renoir, gli tese la mano e lo portò con lui in un viaggio che avrebbe toccato le principali tappe del bacino del Mediterraneo. Il sole, la mancanza di foschia e il mare blu colpirono positivamente l’artista che, una volta rimpatriato, sposa Alice e si rimise in carreggiata come uomo e, soprattutto, come pittore. Quasi alla fine della sua carriera, si trasferì a Giverny, nelle campagne dell’Alta Normandia, dove morirà a causa di un tumore ai polmoni. Al suo funerale una folla commossa ghermì la piccola chiesa di Giverny.
Claude Monet fu il primo artista a parlare di Impressionismo. Continua a leggere
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