Le Ninfee di Claude Monet

Pare che quest’anno la Primavera stia dando il meglio di sé, nel meglio e nel peggio. A noi la Primavera ci piace e vorremmo celebrarla ricordando un artista che di buon gusto e di Primavera ne capiva tanto.

Claude Monet (Parigi, 1840 – Giverny, 1926) é un cavaliere errante. Bohemien convinto per tutta la sua vita, quando la sua prima moglie, Camille, gli annunciò di essere incinta, lui corse ai ripari a casa di una sua vecchia zia e ritornò dalla sua famiglia poco dopo che il suo primogenito aveva compiuto due mesi. Qualche anno più tardi, a causa di ingenti problemi economici che lo portarono alla bancarotta, tentò il suicidio, ma, fortunatamente, il suo migliore amico e collega P. A. Renoir, con una casa appena fuori Parigi e nuove commissioni pittoriche, riuscì a convincerlo a tenersi in vita. Arrivò il 1870 e la Francia entrò in guerra contro la Prussia e Monet, per non arruolarsi, scappò in Inghilterra. Prima di tornare a casa dalla sua famiglia, però, vagheggiò per tutta l’Europa. In Olanda, in particolare, conobbe l’arte giapponese divenuta celebre grazie a K. Hokusai. Di quell’arte ancora così primitiva, indietro anni luce da quella europea, lo colpirono l’assenza di prospettiva, la colorazione a campiture (senza sfumature, come i più moderni manga giapponesi) e l’impiego di supporti pittorici alternativi (come il legno o la carta di riso). L’essenzialità di quest’arte che, sebbene non fosse barocca, era finemente raffinata, si avvicinava molto alla sua personale idea d’arte. Dopo aver terminato il suo grand tour europeo, ritornò all’ovile da moglie e figli e tutto sembrava aver ripreso la giusta piega. Tuttavia, le carte vennero rimesse in tavola quando, per motivi lavorativi, conobbe Alice Hoschedé, moglie di un ricco finanziatore d’arte. Ben presto Alice sostituì Camille, dapprima come musa e poi anche sotto le lenzuola. Addirittura, quando il marito mecenate perse tutti i suoi averi, Monet invitò Alice e prole annessa a trasferirsi a casa sua con sua moglie e i suoi figli, in un’epoca in cui il termine famiglia allargata non era ancora stato coniato. A suo modo, però, Monet non smise mai di amare sua moglie e, quando Camille, a soli 32 anni, morì di tubercolosi (altre biografie, invece, sostengono che sia morta a causa di un aborto spontaneo) la dipinse morente nel suo letto. Si ricorda che il privilegio di essere ritratti in punto di morte, fino ad allora, era stato riservato alla Maria Vergine. La morte di sua moglie e, poco tempo dopo, la morte dello stimatissimo collega E. Manet,  fecero cadere l’artista in un forte stato di depressione. Così, ancora una volta, l’amico Renoir, gli tese la mano e lo portò con lui in un viaggio che avrebbe toccato le principali tappe del bacino del Mediterraneo. Il sole, la mancanza di foschia e il mare blu colpirono positivamente l’artista che, una volta rimpatriato, sposa Alice e si rimise in carreggiata come uomo e, soprattutto, come pittore. Quasi alla fine della sua carriera, si trasferì a Giverny, nelle campagne dell’Alta Normandia, dove morirà a causa di un tumore ai polmoni. Al suo funerale una folla commossa ghermì la piccola chiesa di Giverny.
Claude Monet fu il primo artista a parlare di Impressionismo. Continua a leggere

“La Grande Odalisca” – Jean Auguste Dominique Ingres

Jean Auguste Dominique Ingres (Montauban, 1780 – Parigi, 1867) , uno sbarbatello vagamente belloccio, quasi una brutta copia di Luca Argentero, fu uno dei più onorati e famosi pittori francesi. La sua fama é dovuta al suo talento come ritrattista di personaggi a lui contemporanei (come Napoleone Bonaparte) e ai suoi nudi femminili orientaleggianti.

Arbitrariamente, viene collocato tra i Neoclassici, ma si può dire che Ingres, per l’epoca in cui visse e dipinse, costuisca un approccio all’arte totalmente originale . Allievo di J. L. David, il Neoclassicismo in persona, dal quale erediterà soltanto l’equilibrio delle composizioni di forme idealizzate, soggiornò per lungo tempo a Roma dove studiò a fondo il Rinascimento, specialmente quello di Raffaello. Polemizzava sugli ideali romantici ed è forse per questo motivo che, sfogliando un libro d’arte, lo si trova nel capitolo del Neoclassicismo. Tuttavia, anche se l’artista riuscì a fondere l’ispirazione storica dei Neoclassici alla passione rivoluzionaria dei Romantici, contrariamente alla maggior parte dei suoi colleghi, non aveva né interessi politici, né interessi ideologici poiché era interessato all’arte solo come disciplina fine a sé stessa. Questo, però, non ci deve indurre a pensare che il pittore fosse una persona frivola, una sorta di esteta alla Dorian Grey.

Infatti, ciò che lo distinse dagli altri artisti dei primi dell’Ottocento, fu il suo modo d’intendere l’arte. Secondo lui, ciò che era veramente  importante in un’opera non era “chi”, cioè il soggetto, ma il “come”, cioè la forma. Questo voleva dire che non bisognava dipingere la psicologia, o meglio, il dramma dei personaggi (basti pensare che il best seller di suoi tempi era “I Promessi Sposi” di A. Manzoni), ma definire la loro oggettività, ciò che si può percepire tramite i quattro sensi. Soprattutto, Ingres enfatizzò il valore della superficie delle cose, cioé la forma che gli oggetti hanno al tatto. Per la prima volta nel corso della storia dell’arte, la forma non fu più un archetipo, un’idea eterna e già data, ma il risultato di uno studio, qualcosa di mai uguale ed esperibile dal pittore che da sensitivo divenne un fotografo. Quindi, stando all’idea dell’artista, non esiste nessuna filosofia estetica, in quanto ogni oggetto ha una sua estetica diversa, essendo l’oggetto solo una forma e non la spiegazione di un concetto. Così, il Bello diventa tutto ciò che si può vedere e un’opera si distingue dall’altra a seconda dalla prospettiva da cui si osserva l’oggetto di studio. Per questo, furono artisti impressionisti come E. Manet ad ispirarsi a lui in quanto dipingevano le mutevoli visioni di un attimo che non ritornerà mai più.

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“Grande Odalisque”, 1814, olio su tela, 162×91, Musée du Louvre (Parigi)

La Grande Odalisca era stata commissionata ad Ingres da Caroline Murat, sorella di Napoleone e moglie del re di Napoli Gioacchino Murat e pensata in coppia con un altro nudo che però andò perso durante i moti del 1848. Questo “sogno orientale”, realizzato durante il soggiorno romano dell’artista, è uno dei primi dipinti che nascono come rifiuto alla rappresentazione dei “soldatini” di Napoleone e, soprattutto, è il primo nudo non mitologico della storia dell’arte (di solito, era Venere ad essere rappresentata senza veli). Continua a leggere

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