CLASSIC ON AIR: David Bowie ‘Heroes’

C’è da chiedersi per quale ragione ci alziamo la mattina per rincorrere un tempo che ormai non ci appartiene più, nemmeno quando ci corichiamo stremati la sera. Gli eventi scorrono davanti agli occhi simili a scene di un film in cui non ci è possibile intravvedere la nostra figura di attori protagonisti. E’ tale la velocità del mondo che ci circonda che le parole arrivano come distorte alle nostre orecchie, incomprensibili sibili che si perdono nel vento. Non si ha più il tempo per metabolizzare gli incontri con i nostri simili, divenuti poco più che nuovi contatti di facebook. E l’amore che potrebbe rappresentare la nostra unica ancora di salvezza in questo mare di confusione, scimmiotta oramai sempre più le telenovelas. Ma nonostante tutto ciò continuiamo a vivere la nostra vita senza arrenderci all’evidenza: non siamo forse degli eroi? Continua a leggere

Berlino, è morto l’orso Knut

Lo Zoo di Berlino è in lutto: per cause ancora sconosciute, vicino alla vasca della sua gabbia è stato trovato senza vita l’orso Knut.

Ve lo ricordate quel batuffolo bianco che quattro anni fa aveva commosso il mondo con la sua storia. Ripudiato dalla mamma, Knut era stato cresciuto dai guardiano dello Zoo di Berlino conquistando una presenza mediatica degna di una pop star.

“Il richiamo di Garibaldi” di Domenico Induno

Cari Fratelli d’Italia (ma anche Sorelle),
L’abbiamo tanto aspettato e, soprattutto criticato, questo 17 marzo 2011 e, finalmente, eccolo qui questo giovedì di fine inverno. Come definirlo, allora, questo compleanno di mamma Italia? Io la chiamerei una festa memorabile, una di quelle che, se ti va bene, passano una sola volta nella vita come la cometa di Halley.
L’Italia esiste da 150 anni, se la matematica non inganna, ma partimo dall’inizio di questa storia. No, non racconterò le vicende dei Mille (che, in realtà, erano qualcuno in più perché, da sempre, se c’è una festa ci devono essere pure gli imbucati): le peripezie di Garibaldi, Mazzini, Cavour e Vittorio Emanuele la conoscono quasi tutti e, del resto, ne sono pieni i libri. La nostra storia comincia con un tale che rispondeva al nome di Massimo D’Azeglio e che di mestiere faceva, alternativamente, il politico e l’artista. L’Italia era nata soltanto da un giorno e costui, intelligentemente, fece notare al simpatico quartetto che aveva cucito insieme gli stati e gli staterelli dello Stivale in stile patchwork: “Purtroppo s’è fatta l’Italia, ma non si fanno gli Italiani”.
A dire il vero, anche oggi si fatica a trovare degli aggettivi adatti per descriverci e che, possibilmente, mettano d’accordo tutti. Noi Italiani, non c’è che dire siamo molto abili a insultare la nostra Patria, ma guai se lo fanno gli altri! Guai se ci riducono a un piatto di pasta, cosche mafiose e un suonatore di mandolino! A parte il fatto che io ho visto il mio primo mandolino a diciassette anni in un museo d’oltralpe, sono d’accordo: gli Italiani non sono solo questo. Sono il tatuaggio I love Mama; sono tutti davanti alla tv a vedere il cielo Azzurro sopra Berlino o in piedi sul divano perché Valentino c’é; sono la Divina Commedia letta in tutto il Mondo; sono la notte degli Oscar di Sofia Loren che si commuove nell’annunciare che the winner is RoBBerto.
E’ questo che ci deve rendere orgogliosi di essere italiani, anche se negli ultimi tempi qualche buontempone ha fatto credere che l’Italia é solo un bel vaso con dentro parecchi fiori avvizziti o marci. Oggi é tempo di riscattare i nostri pregi perché chi si diverte a deriderci possa rimanere di stucco, positivamente sbalordito.
E da dove cominciare? Guardiamo, ad esempio, la forma indefinita delle altre nazioni europee; l’Italia, invece, ha la particolarissima sagma di uno stivale. Così, anche la storia del nostro Paese é unica nel suo genere. Mentre le maggiori potenze europee, quali l’Impero Asburgico, la Francia e l’Inghilterra, parlavano di nazione e nazionalismo, noi eravamo ancora divisi in sette stati e in mano a svariate corone che ci scambiavano come figurine. Durante un soggiorno a Weimar (Germania), non a caso scambiai la statua di F. Schiller a cavallo davanti alla biblioteca della duchessa Anna Amalia con una statua di Garibaldi. Mentre in Germania era in voga la Sturm und Drang, la tempesta di sentimenti e l’inquietudine nella ricerca della propria identità, mille e rotti garibaldini partivano per costruire l’Italia più o meno come la vediamo oggi.
Anche la corrente dei macchiaioli é del tutto Made in Italy. si può dire che essa costituisca la variante pittorica del Verismo, movimento letterario di cui, sicuramente, ricorderemo Giovanni Verga con i suoi Rosso Malpelo, I Malavoglia e la Storia di una Capinera.  Il leitmotiv dei Macchiaioli era il Patriottismo tradotto in paesaggi a campo aperto, vedute di campagna, in cui il punto non esisteva, ma solo macchie di colore. Questo approccio all’arte nacque in Toscana, tra l’altro il primo stato a credere nell’Italia unita e la culla della Lingua Italiana, dove si stavano rifugiando, man mano, tutti i patrioti lombardi, tra i quali D. Induno. Oggi si coglie l’occasione di fare dibattiti e talkshow su tutto, ma i Macchiaioli crearono un’arte che parlava del popolo per il popolo. Ancora non esisteva una lingua unitaria italiana e , anche A. Manzoni si chiedeva in quale idioma avesse dovuto scrivere I Promessi Sposi, perciò quest’arte si pone come mezzo per gemellare gli italiani.
Domenico Induno (Milano 1815 – 1878), fortemente influenzato dall’espressività romantica dei dipinti del contemporaneo F. Hayez, sull’onda degli eventi risorgimentali, dipinse un quadro che intitolò “Il Richiamo di Garibaldi” (42,4x53cm – olio su tela – 1854 – Collezione Bentivegna).
I personaggi di questa composizione molto semplice, basata su giochi di diagonali, spiccano sullo sfondo impolverato grazie alla sapiente calibratezza tra colori vividi e puri, quelli del Tricolore. E’una scena famigliare di donne e bambini che restano a casa e di uomini che partono in guerra.
Il quadro costituisce uno spaccato sulla vita dell’Italiano medio del tempo. E’ una persona umile e, per certi versi, derelitta: anni di prigionia non hanno fatto altro che aggiungere miseria alla miseria. In casa sua vengono esposti strumenti rurali perché lui é un uomo che lavora la terra italiana che può dare ancora frutti. Sebbene abbia una dimora povera, sporca, una catapecchia, non manca di appendere al muro un crocifisso perché la gente semplice ci crede ancora in Dio.
Questa scena di genere, teneramente patetica e molto meno ampollosa di come l’avrebbero dipinto i colleghi romantici, ci mostra come non sia stata una passeggiata unire gli stati italici per formare l’Italia, come il richiamo di Garibaldi abbia spezzato gli affetti quotidiani. Probabilmente, Induno prese spunto dall’Iliade di Omero per dipingere questi due coniugi come Ettore e Andromaca e il figlioletto Astianatte con l’aggiunta di una quarta persona, una donna alla finestra, qui simbolo di speranza. La moglie é accasciata sul letto disperata. Il marito, non più giovane, parte in guerra sebbene sia ferito perché é un dovere morale andare a liberare l’Italia. Proponendo un evento storico con un risvolto intimo, il pittore fa sì che il dramma di un singolo diventi collettivo. Amare l’Italia, essere patrioti, significa unirsi nel dramma del sacrificio, difendere l’Italia perché é solo battendoci per essa che manterremo i nostri doveri affettivi.
D’Azeglio aveva ragione, a modo suo. L’Italia, seppure non sia che un lembo di terra sul Mappamondo, tiene unite persone che, avendo una lingua diversa (i dialetti, ma anche le lingue dei nuovi italiani, gli immigrati), hanno anche una cultura diversa: é questo che ci deve far sentire onorati.
Così, se dovessi descrivere cosa vuol dire essere italiani, citerei, ad esempio, la mia famiglia.
Mia mamma viene da Rodolo, un piccolissimo paese di montagna in provincia di Sondrio: polenta proponibile ad ogni pasto, pochi mesi d’estate, Heide, le caprette e l’attitudine a lavorare tanto e a parlare poco. Mio papà, invece, viene da Cortale, un comune dell’entroterra catanzarese: una spruzzata di peperoncino, qualche passo di tarantella e interminabili pranzi conviviali durante le feste. Mamma é razionalità e papà é passione, ma, per rispondere alla domanda canonica tu vuoi più bene alla mamma o al papà?, non posso che dire entrambi, perché uniti si completano. Quindi, la mia famiglia é tricolore: il bianco della neve sull’Adamello, il verde del basilico profumato sul davanzale a casa della nonna paterna… la tovaglia rossa della festa che unisce attorno a un tavolo una famiglia ben amalgamata. L’Italia, per me, é questo e ne vado fiera. Perciò, non importa di che sesso, razza, squadra, partito, religione o ceto siate: buon 17 marzo a tutti, di cuore!

Usain Bolt è già leggenda Oro e record nei 200: 19″19

20090821-001719-pic-869472333_r350x200BERLINO – Non esistono più aggettivi per descrivere la grandezza di Usain Bolt. Si era nascosto, dicendo di sentirsi un poco stanco e che avrebbe preferito non fare le batterie della staffetta. Ora sappiamo che giocava come il gatto con il topo. All’improvviso ha spalancato il gas come Valentino Rossi e tanti saluti a tutti. Si è mangiato la curva in un amen e ha continuato a spingere gli stantuffi sino alla fine. Smorfie di sofferenza sono apparse sul viso negli ultimi metri. Anche gli dei, ogni tanto diventano umani. Se il mondiale dello scorso anno a Pechino poteva sembrare mostruoso (aveva migliorato il precedente di Johnson di 2 centesimi) ora questo ulteriore miglioramento lo colloca fra i robot. 19.19, che dire di più? Solo la freccia giamaicana, a questo punto, è in grado non solo di battere, ma solamente di avvicinare quel tempo. Il secondo, il panamense Edward, pur arrivando a 19”81 (record continentale) è rimasto indietro di oltre mezzo secondo. Il terzo, lo statunitense Spearmon, è ancora più distanziato (19”85, record stagionale).

Usain Bolt nella storia Oro e record: 9″58

boltBERLINO (Germania) – Usain Bolt si conferma l’uomo più veloce del pianeta: il giamaicano ha dominato la finale dei 100 metri ai Mondiali di atletica di Berlino, infilando uno strepitoso, pazzesco, record del mondo. L’atleta ha abbassato il suo stesso primato di ben 11 centesimi, portandolo dal 9″69 di Pechino al 9″58 di Berlino. Nettamente distanziati tutti i diretti rivali, primi fra tutti lo statunitense Tyson Gay, che pure ha fatto segnare il nuovo record USA 9″71 e l’altro giamaicano Asafa Powell, bronzo con 9″84.

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