Il mago dei videogames

giphySono stato bambino in un altro tempo.

Quando le ‘console’ erano agli inizi e pong dell’Atari era il massimo della tecnologia dei giochi domestici, quando il computer ce l’aveva solo la NASA e quello sfigato del figlio del vicino che non usciva mai di casa (era un nerd potenzialmente multimiliardario, ma noi altri a quel tempo questo non lo potevamo sapere). L’unico modo che avevamo noi ‘regazzini’ di giocare ‘seriamente’ ai videogames era di uscire di casa e di andare al bar.

Se adesso vi stupiscono quei vecchietti incantati davanti alle macchinette del videopoker, farete fatica ad immaginare che negli anni ottanta/novanta eravamo noi, che avevamo dai dieci ai quindici anni, a perdere gli occhi davanti alle macchinette e ogni bar, seppur sperduto in Aspromonte, aveva il suo rumoroso e luminoso cabinato. In città poi c’erano le sale giochi che di cabinati ne aveva decine, tutte in fila con le musichette che s’intrecciavano l’una sull’altra e che andavano a gettoni e non a moneta.

I flipper (mostri elettromeccanici in uso presso le popolazioni preistoriche) c’erano ancora, ma erano snobbati da noi adolescenti per niente interessati a sudare compiendo movimenti pelvici solo per tenere lontana dalla ‘buca’ una dispettosa pallina di metallo (se Newton avesse voluto scoprire la forza di gravità in un bar, gli sarebbe bastato dare un’occhiata ad un flipper, altro che mela caduta dall’albero).

Donkey_Kong_arcade_at_the_QuakeCon_2005Noi più piccoli con le duecentolire in mano che erano di rame, ma parevano d’oro tanto ce l’eravamo sudate durante tutta la settimana, ce ne stavamo incollati davanti agli schermi catodici dove qualche pixel colorato e una musica composta da non più di tre note riuscivano a catapultarci in mezzo a battaglie con gli alieni.

La fila per giocare c’era sempre, anche se t’ingegnavi di trovare una scusa per uscire di casa ad orari improponibili, c’era sempre qualcuno (di solito pure più bravo di te) impegnato a smanettare al tuo videogame preferito. La domenica pomeriggio poi era un incubo: un cabinato da spartire insieme ad altri cinque, sette, dieci giocatori. Il fortunato di turno era più impegnato a sgomitare per riuscire a vedere cosa succedeva sullo schermo che ad abbattere le astronavi nemiche.

Lo schiamazzo raggiungeva livelli da tifo da stadio compresi smadonnamenti vari in caso di rigore sbagliato e solo i fuoriclasse facevano gol visto che i videogames dell’epoca non regalavano niente. Durata media delle partite: 5 secondi, compreso il tempo di infilare la moneta e premere il pulsante del Player1. Seguiva scherno da parte di tutti gli astanti, orecchie rosso fuoco e ravanata nelle tasche per scovare in tutti i possibili anfratti l’ultima moneta, quella della partita della svolta che ci avrebbe catapultato dritti dritti nella Hall of Fame dei videogiocatori. Con il soldino stretto nella mano sudata si riguadagnava la posizione in coda alla fila e da lì si ricominciava: in pratica era più il tempo che si passava guardando gli altri giocare e aspettando il proprio turno che quello che ti vedeva impegnato a sparare agli alieni.

Strano, ma di quagli interminabili pomeriggi, non mi ricordo tanto i giochi o le chiacchiere scambiate con gli amici ma se oggi se chiudo gli occhi e ripenso a quei momenti rivedo una partita speciale di cui sono stato fortunato spettatore. Una partita speciale di quelle da ‘io c’ero’ come di quando quel tizio aveva fatto carambola al biliardo battendo la stecca con una mano sola: da leggenda.

Ricordo che era inverno, faceva un freddo cane visto che per il proprietario del baretto, noi che occupavamo la stanza dei videogiochi non avevamo diritto né al termosifone (eravamo in realtà nel retro del retro del bar) né alla stufetta elettrica (quella l’avevano requisita i vecchietti impegnati tra il biliardo e le interminabili partite di tressette).

Imbacuccati nei nostri piumini sintetici multicolore fosforescenti ce ne stavamo abbarbicati al cabinato di ghosts ‘n goblins, quello dove c’erano gli zombi che ti inseguivano e dei cosi volanti (dovevano essere dei pipistrelli) che appena ti toccavano del tuo cavaliere rimaneva soltanto un mucchietto d’ossi. Il ‘turnover’ era abbastanza veloce visto che il gioco era stato installato soltanto qualche giorno addietro e nuovo com’era nessuno riusciva a far durare le due vite disponibili per più di un minuto.pacman1

Avendo cambiato da poco una preziosissima banconota da mille lire (regalo della nonna) giacevano nella tasca dei miei jeans ben cinque monete. MI pregustavo le mie cinque rapide partite, quando ecco che mi accorgo che il ragazzino ora impegnato a uccidere gli zombie non solo era riuscito a superare il primo livello del gioco, ma da come si destreggiava c’era pure il caso che arrivasse a superare il secondo.

Dovete sapere che al termine di ogni livello di ghosts ‘n goblins un diavolaccio rosso dispettoso che avete appena sconfitto vi ri-rapisce la principessa sotto il naso, nascondendosi dietro a orde più numerose e truculente di mostri. Non l’avevamo ancora vista la fine del primo livello e in quel momento l’animazione con la principessa nelle grinfie del diavolaccio svolazzante ci parve bellissima. tumblr_nlxq4hH4gl1qd4q8ao1_500Però nessuno stranamente commentava, stavamo tutti zitti per rispetto del giocatore-campione, al massimo una gomitata dritta nello stomaco del vicino per segnalargli, semmai ce ne fosse il bisogno, l’ennesima prodezza di quello che per tutti noi da quel momento divenne il mago dei videogames.

Ci si aspettava che da un momento all’altro la magia finisse, ma il mago riusciva sempre a scamparla in qualche modo e a tenere in vita il cavaliere sullo schermo, magari d’un soffio, facendoti mancare un paio di battiti al cuore, ma era ancora lì a pestare sui tasti (quello del salto e quello dell’arma) e a muovere il joystick con una foga tale che nemmeno se gli zombi fossero stati veri.

Durò tutto non più di un quarto d’ora forse venti minuti, anche se a me al momento sembrò fossero passate un paio di eternità, ma alla fine quel piccoletto che non mi arrivava nemmeno all’altezza dell’ascella, riuscì a terminare tutto il gioco, sconfiggendo una volta per tutte il diavolaccio rosso. Non avevamo mai visto nessuno finire uno dei videogames che erano passati nel nostro bar, mai nessuno.

giphy (1)Ci aspettavamo chissà che cosa e invece dopo una schermata nera che ci aveva fatto trattenere il fiato ricominciò la solita musichetta e iniziarono a comparire i titoli di coda, come quelli dei film, con dei nomi assurdi scritti per metà in giapponese e metà in americano.

Noi spettatori increduli non dicevamo una parola con gli occhi fissi ancora sullo schermo che non ne voleva sapere di far uscire la scritta Game Over per far cominciare la nuova partita ad uno di noi.

Fummo riportati su questo pianeta dal padre del ragazzino che se l’era venuto a riprendere per portarlo a casa: non doveva essere delle nostre parti, immagino sia stato soltanto uno solo di passaggio che mentre il padre sorseggiava il caffè e leggeva la gazzetta, annoiato aveva scroccato una moneta per giocare ai videogames.

Le magie succedono così senza un perché altrimenti che magie sarebbero? Sta di fatto che da quel momento ai voglia noi a dire agli altri che avevamo visto finire il gioco da un ragazzino, che alla fine il diavolaccio la principessa la molla e il cavaliere se la sposa con il velo e compagnia bella. Chi non aveva assistito al miracolo, al nostro racconto non ci credeva, pensava fosse tutto uno scherzo. Dopo un po’ smettemmo di parlarne pure tra di noi, qualcuno pensò di essersi sognato tutto e un altro avanzò l’ipotesi che si fosse trattato di un’allucinazione come capita nel deserto oppure di quelli che credono di essere stati rapiti dagli alieni.p.txt

Il ragazzino mago dei videogames non ricapitò più nel nostro bar. Peccato, gli avrei potuto chiedere qualche trucchetto, aveva l’aria di saperla lunga.

Dopo qualche settimana il gioco venne sostituito con un altro nuovo: succedeva sempre così. Dopo un po’ anche i più testoni imparavano a destreggiarsi alla ben e meglio: la partita durava di più, gli incassi allora scendevano e il proprietario del bar chiamava l’addetto che passava a sostituire il videogames con un altro e si ricominciava tutto da capo.

Ancora adesso che sono diventato più grande, quando gioco a davanti al computer rimpiango quei momenti passati davanti ai cabinati in mezzo al fumo dei bar. La grafica ora è nettamente superiore, quando giochi sembra che guardi un film, che poi bisognerebbe spiegare a chi produce ‘sti nuovi videogames che un videogioco è cosa diversa da un film.

E quando mi chiedono perché alla mia età ancora spreco il mio tempo libero sui videogames non trovo le parole giuste per spiegare e resto zitto, ma a voi confesso che ancora oggi sogno di diventare bravo come quel ragazzino incrociato per poco tanti anni fa. Voglio diventare anch’io un mago dei videogames.

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